Maker e designer co-progettano lo sviluppo!

Curiosità

Quartiere Gratosoglio, sud Milano. Un gruppetto di ragazzi ha perso la strada. O non l’ha mai trovata. Nella vita lavorativa, negli studi, alcuni anche in famiglia. Il Comune interviene. Stimola un progetto che parte da loro, dalle loro capacità. Fino a costruire un prototipo: un ortopalestra biodinamica che presentano pubblicamente nel quartiere, ricevendo consensi e fiducia. L’inizio di una nuova vita. Diversi tra loro riprenderanno gli studi. A rendere possibile questo percorso virtuoso è WeMake, fablab milanese. Che cosa centrano i maker con le politiche giovanili? Cosa portano i fautori delle tecnologie open source e delle stampanti 3D nei percorsi formativi? Si chiama co-design, un metodo che parte dai bisogni delle persone e facilita i processi di progettazione, abilitandoli con le tecnologie fino a giungere a un prototipo di servizio o di prodotto. «La questione è che spesso le organizzazioni non governative hanno carenze nel processo di progettazione – spiega Cristina Martellosio di WeMake – Come abbiamo fatto in Burkina Faso con Acra, noi li accompagniamo nel comprendere i bisogni dei beneficiari e come questi possano contribuire. Sulle tecnologie cerchiamo di stimolarli sul senso, sul come possano essere utili». Ed è quello che faranno nel percorso formativo agli Open days dell’innovazione, dedicati alla cooperazione allo sviluppo e per il sociale.

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